Una storia operaia
La parola dell’anno per il 2025 è già oggi “cassa integrazione”. Altro che brain rot
C’è un imprenditore che negli ultimi anni si è guadagnato su quasi tutti i giornali il titolo di salvatore. Perché laddove c’era una crisi aziendale lui arrivava per investire. Ed è sempre arrivato con un’idea assolutamente moderna di industria: riconversione green, svolta ecologica ed economia circolare rappresentano il cardine di ogni sua omelia produttiva. Ma a distanza di un lustro, alla prova dei fatti, la sua retorica inizia a scricchiolare perché ogni messa celebrata si è trasformata troppo spesso in un requiem, in una nuova crisi, in nuove richieste di ammortizzatori sociali.
Dalla giusta distanza pare di scorgere uno schema sempre identico: l’ingresso trionfale in scena di Francesco Borgomeo, che necessita di milioni di investimenti pubblici per riconvertire una fabbrica sull’orlo del fallimento e attuare una qualche rivoluzione verde; a stretto giro l’annuncio dell’esistenza di un acquirente, che spesso rimane fantasma; una nuova cessazione delle attività a poca distanza dall’acquisizione. Borgomeo lamenta con costanza ritardi nel rilascio delle autorizzazioni, che a suo dire non rispettano mai i tempi di legge, si scaglia contro l’inefficienza della burocrazia italiana e denuncia che i costi di energia e gas sono diventati insostenibili in seguito alla scoppio della guerra in Ucraina: “produrre a queste condizioni - ribadisce a più riprese - non conviene”. Ma alcuni operai delle sue fabbriche iniziano invece a pensare che di circolare, nella sua economia, ci siano solo i suoi bluff.
Il primo miracolo di Francesco Borgomeo risale al 2015 quando salva la ex Marazzi Sud di Anagni, acquistata dal tribunale fallimentare, dando vita alla società per azioni Saxa Gres che continuerà a operare nel settore ceramico con l’obiettivo di attuare “un progetto rivoluzionario di riconversione verde”. Pochi anni più tardi, è il 2018, Borgomeo salva anche la Ideal Standard di Roccasecca, sempre in provincia di Frosinone, e tutti i suoi dipendenti. Lo stabilimento, sull’orlo del baratro, viene rilevato dalla New Company Saxa Grestone.
Il regista di questa operazione è l’allora ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda. Sul piatto ci sono 30 milioni di euro: 16 li investe il Governo tramite Invitalia (l'Agenzia nazionale per lo sviluppo), 4 la Regione Lazio e 10 provengono dalla stessa Ideal Standard (nella pratica: i lavoratori della vecchia fabbrica rinunciano ad arretrati e buonuscita).
Da parte sua Borgomeo emette un bond del valore di 75 milioni di euro per investitori professionali. Il prestito obbligazionario a emissione diretta, denominato “Grestone” dal nome del materiale prodotto, è a tasso fisso con scadenza al 2026 (anche se a distanza di circa quattro anni, nel 2022, viene prorogata la data di scadenza al 2027 e inserita una “cedola variabile eventuale”: si stabilisce che agli obbligazionisti non saranno più corrisposte le cedole semestrali, pari al 7%, ma che gli interessi verranno corrisposti solo alla scadenza del bond o alla data di rimborso anticipato).
Ma non finisce qui. Perché a breve giro (questione di mesi) rispetto all’acquisizione dell’ex Ideal Standard, il nuovo ministro del Lavoro, Luigi Di Maio, annuncia entusiasta su Facebook che la Saxa ha appena rilevato anche la ex Tagina, che si trova a Gualdo Tadino, in Umbria. L’operazione dà vita al primo polo industriale della ceramica italiana al di fuori del distretto modenese, strappando a Sassuolo una specie di monopolio. Governo e Regione giocano un ruolo determinante anche in questa partita, co-finanziando il nuovo stabilimento e pagando la cassa integrazione.
Nel 2021 nuova crisi, nuova corsa: è il turno della Ex Nalco di Cisterna, in provincia di Latina. La fabbrica aveva cessato la produzione ad aprile e Francesco Borgomeo, in qualità di Presidente Unindustria dell’Area Comprensoriale di Cassino, aveva promesso di farsi mediatore tra la proprietà e un nuovo acquirente che però rimaneva ignoto. A luglio di quell’anno si scoprirà che l’acquirente è proprio lui: attraverso la società Plasta Rei attuerà un piano di riconversione alla Circular Economy. Passa un anno e viene siglato un accordo tra la società, la Provincia e la Regione per il salvataggio di tutti i posti di lavoro e un investimento “superiore ai 25 milioni di euro nel biennio”. Si parla della produzione, in fase avanzata di studio, “di un biopolimero ricavato da latte scaduto, kiwi e canapa industriale”. E ancora: “quella presentata oggi è una rivoluzione nel mondo della plastica riciclata”.
Tempo due anni - siamo agli inizi dell’estate 2023 - viene reso noto che tre multinazionali hanno già chiesto una due diligence, cioè di accedere ai conti di Plasta Rei per stabilire un prezzo e fare il loro ingresso nella società. Ma Borgomeo frena: “La nostra riconversione industriale è un esempio se resta a Cisterna, se arriva qualcuno che compra i brevetti e poi lascia a piedi i lavoratori non lo è più”. Pertanto: “stiamo valutando il loro ingresso come soci, non come vendita. Ma dipende dalle istituzioni”.
In che senso dipende dalle istituzioni? Perché l’andamento sul mercato di un’azienda privata che sulla carta gode di ottima salute dovrebbe dipendere in maniera così determinante dal coinvolgimento statale? Non è chiaro, ma di sicuro sul tavolo delle istituzioni finiscono sempre nuovi dossier legati alle imprese del gruppo Borgomeo.
Ad esempio, ad agosto 2023, si apre un tavolo per fare il punto sulla Saxa Gualdo: la ex Tagina, la più grande fabbrica ceramica dell’Umbria, ha infatti spento i forni e mandato in cassa integrazione tutti i dipendenti già dall’inverno. E poi c’è grande agitazione anche negli stabilimenti Saxa Gres di Anagni e Roccasecca: anche qui la produzione è ferma da tempo ma a settembre 2023, durante un incontro in Regione con le parti sociali, il proprietario parla di un nuovo investitore, un socio americano del quale non viene rivelata l’identità.
Dopo pochi mesi, sul sito della Saxa, viene però pubblicato un comunicato secondo cui in data 16 dicembre 2023 la società ha ricevuto un’offerta vincolante da parte di Hines Italy Real Estate Srl (leader nella gestione di investimenti immobiliari) “in relazione alla sottoscrizione di preferred equity per un importo di circa 60/65 milioni, a sostegno del percorso di risanamento di Saxa Gres e condizionatamente a un accordo di ristrutturazione dei debiti da porsi in essere con i creditori della Società”.
Potrebbe essere una buona notizia per i 450 dipendenti in cassa integrazione, che arrivano a mille considerando anche l’indotto: tutti i forni potrebbero finalmente tornare alla piena produttività - come d’altra parte era stato garantito già alcuni mesi prima durante l’ennesimo incontro al Ministero delle Imprese e del Made in Italy.
Ma i tempi ancora una volta si allungano, i nuovi investimenti non arrivano e si succedono una serie di fumate nere: permane insomma una situazione di sostanziale incertezza.
Nel frattempo, a dicembre 2021, Francesco Borgomeo aveva ufficializzato anche l’acquisizione della ex Gkn (una fabbrica di componenti meccaniche per auto, fino al 1994 di proprietà della Fiat) dopo aver rilevato tutte le quote del fondo inglese Melrose che l’aveva messa in liquidazione.
“Cambiamo la strategia”, aveva spiegato il nuovo proprietario, “e ovviamente cambiamo anche il nome: la nuova società si chiamerà QF Spa, cioè Quattro F - Fiducia nel Futuro della Fabbrica di Firenze. Sono quatto F che spiegano come la penso”. Francesco Borgomeo assicurava, all’epoca, “continuità occupazionale”, tuttavia a distanza di circa due anni, nell’ottobre del 2023, vengono recapitate le lettere di licenziamento per i 185 dipendenti dello stabilimento di Campi Bisenzio, ai quali per mesi era stato fatto intravedere l’interesse da parte di altri partner industriali che però rimarranno per sempre anonimi - e la fabbrica per sempre ferma.
Ma non finisce così, questa storia: perché una sentenza del giudice del lavoro cancella i licenziamenti, considerati illegittimi, riconoscendo la condotta antisindacale di Borgomeo. Ciò nonostante Borgomeo non paga gli stipendi di gennaio 2024 e diserta i tavoli istituzionali in Regione Toscana. Ma soprattutto accusa i lavoratori, in presidio permanente, di rendere inagibile lo stabilimento: in altre parole, secondo la proprietà, se l’attività non riparte è solo a causa dell’occupazione operaia, attraverso la quale si cerca di evitare che i macchinari vengano trasferiti nottetempo e che la fabbrica, quindi, venga smantellata.
Gli operai della ex Gkn, dal canto loro, denunciano invece che dietro le false promesse di una reindustrializzazione si nasconda in realtà un’operazione di speculazione immobiliare: a ottobre 2023, infatti, la Pvar Srl, che detiene il 100% di QF, proprietaria della Gkn, aveva ceduto la metà delle sue quote alla Toscana Industry, società a responsabilità limitata controllata da una fiduciaria, che rimane anonima, del Monte dei Paschi di Siena. In entrambe queste srl figurava come amministratore unico Mirko Polito, "con un profilo fortemente legato al settore immobiliare”, e nel loro oggetto sociale era indicato “l’acquisto, la vendita, la permuta, la costruzione, la ristrutturazione e la gestione di beni immobili”.
Movimenti societari che inducevano i lavoratori Gkn a ritenere che Borgomeo volesse cedere lo stabilimento a una multinazionale delle costruzioni, evidentemente dopo essersi liberato della vecchia forza lavoro - specializzata in altri settori e quindi non riassorbibile.
E’ in questo punto che le vicende di Gkn e gruppo Saxa sembrano intrecciarsi.
Gloria Riva, dalle pagine dell’Espresso, sul finire del 2023, infatti si domandava: “perché tanta fretta di procedere alla liquidazione e capitalizzare su uno stabilimento in una posizione di ultimo miglio, grande 80mila metri quadri e del valore di 29 milioni di euro? Forse perché Saxa Gres, ovvero l'altra controllata del patron dell’ex Gkn, Francesco Borgomeo, sta in pessime acque?”
Ancora oggi le acque non si sono calmate: la settimana scorsa, dopo il milionesimo vertice al Ministero, si è appreso che la produzione verrà riavviata a Gualdo Tadino e a Roccasecca con l’accensione di un forno per stabilimento. L’azienda ha anche comunicato la cessione del ramo d’azienda dello stabilimento di Anagni a un gruppo del settore automotive.
Ma, anche senza andare troppo indietro nel tempo, se si ripercorrono soltanto gli ultimi dodici mesi di questa vertenza, è facile capire come i proclami non siano mai stati garanzia di uno sblocco effettivo. Continui ritardi, piani industriali fumosi, investitori che non si presentano agli incontri decisivi, sono una costante. Così come, di conseguenza, le richieste di proroga sui trattamenti straordinari di integrazione salariale per crisi aziendale (più noti come Cigs).
Nel frattempo, lo scorso 10 gennaio, la QF Spa ha avviato la terza procedura di licenziamento collettivo per i 121 dipendenti rimasti in Gkn - operai che da più di un anno, precisamente da gennaio 2024, non percepiscono lo stipendio.
Seguendo da esterni la vicenda di queste fabbriche si fa davvero fatica a stare dietro a ogni passaggio e a ogni rinvio, figuriamoci in quale condizione di angoscia vivono gli operai che pensano costantemente di essere a un punto di svolta mentre la svolta, all’ultimo secondo, non arriva.
Questa storia industriale e operaia è molto interessante anche perché tocca un punto molto critico per quest’epoca, quello che riguarda la sostenibilità ambientale.
Un punto doppiamente critico: perché dal punto di vista della proprietà il sistema Italia non è proprio pronto per realizzare una rivoluzione verde, e pertanto rende la vita pressoché impossibile a imprenditori come Borgomeo; ma dal punto di vista della forza lavoro, avvilita da anni di cassa integrazione e assenza di prospettive solide, i propositi green sono solo uno specchietto per le allodole, utili cioè solo a sollecitare salvataggi pubblici (indubbiamente, in questi anni, governi locali e nazionali hanno impiegato grandi risorse nel tentativo di salvaguardare i livelli occupazionali di queste province italiane in cui chiudere una fabbrica significa “chiudere” un intero paese, mentre gli investitori privati in più di un’occasione si sono tirati indietro lasciando gli operai appesi a un destino incerto).
Ma questa è solo una delle decine di crisi aziendali in atto.
Il 29 gennaio l’Inps ha diffuso gli ultimi dati sugli ammortizzatori sociali, che assolutamente non fanno ben sperare per i prossimi mesi: nel 2024 l’Istituto ha autorizzato oltre 507 milioni di ore di cassa integrazione, in aumento del 20% rispetto all'anno precedente. A dicembre le ore di cig sono state pari a 41,4 milioni: in diminuzione rispetto a novembre (-8,9 per cento), ma in netto aumento rispetto a dicembre 2023 (+41,9).
Nel mondo reale la parola dell’anno per il 2025 è già oggi “cassa integrazione”. Quando va bene le aziende italiane non chiudono, ma comunque gli operai non lavorano. Altro che brain rot.
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