Domenica scorsa, nella sua Amaca, Michele Serra ha messo insieme Fabrizio Corona (che alla presentazione del suo ultimo libro ha detto: "Qualsiasi cosa faccio diventa virale su TikTok. Siamo a 320 mila iscritti, il mio obiettivo è arrivare a un milione. Può essere antesignano di un partito politico che, come hanno fatto i 5 Stelle, vinca le elezioni”) e Donald Trump ("diventato presidente degli Stati Uniti anche, se non soprattutto, in virtù dell’appoggio entusiasta di quel genere di seguaci" - i seguaci di cui parla Serra sono i milioni di followers di QAnon). A commento delle uscite "dell'ormai stagionato paparazzo", Michele Serra ha proseguito così: "Potrebbe farcela, e molto meglio e ben prima di lui potrebbe farcela chi di followers ne ha milioni, per qualunque motivo, per qualunque merito, o anche senza alcun motivo, e per zero meriti”.
Questo corsivo è stato titolato "Tutto il potere ai followers", evidentemente da leggere con tono ironico. Infatti mi ha divertita e convinta. Ma anche spinta ad andare ad ascoltare le prime due puntate di "La periferia del tempo". Descritta come "una rubrica" (solo perché sarebbe troppo lungo chiamarlo "l'ennesimo video podcast basato sull’antiformat: ci sediamo uno di fronte all'altro e parliamo di cose a caso per un tempo indefinito”), è curata per Repubblica dal ventenne Edoardo Prati, soprannominato dalla stampa “il Barbero di TikTok”, del quale Michele Serra è stato il primo ospite.
Mi sono detta: ma come?, o per citare un celeberrimo titolo di Cuore: "hanno la faccia come il culo". Eppure mi sono dovuta ricredere in venti secondi netti. Infatti Prati apre l'intervista con una domanda che in quel momento deve essergli sembrata retorica e che invece si rivelerà essere La Domanda, la più interessante e significativa dell'intera chiacchierata: "Decidiamo subito, ci diamo del tu o del lei?". E Serra, serafico: “Risolviamola in modo gerarchico: tu mi dai dei lei e io ti do del tu”.
Si è passati così dalla periferia del tempo alla mezzanotte dello spazio: per mia grande consolazione, mentre il conformismo spostava le lancette dell’orologio, Serra ha stabilito un confine sano (ma un giorno potrei arrivare a dire: ha salvato quel ragazzino e forse anche il mondo intero).
Al di là del caso specifico - innocuo come tutti i casi specifici - non è raro che persone adulte, o molto adulte, attribuiscano un peso assolutamente fuori scala ai ragionamenti espressi da adolescenti e giovanetti sui social network. Ricordo ad esempio, anni fa, Jolanda Renga che in maniera molto spontanea e molto soave si rivolse ai suoi coetanei lamentandosi di ricevere attacchi gratuiti. Venne derubata, da genitori che non sono suoi, di quello sfogo. Perché uno sfogo personale divenne un esempio universale di maturità e coraggio. “La lezione di Jolanda”, titolavano i giornali rivolgendosi ad adulti così pieni di sé da ritenere che se un giovane parla è a loro che parla. Ma la ragazza non era salita in cattedra, aveva solo acceso la telecamera del suo cellulare. Incombenza che forse avrebbe potuto risparmiarsi se non esistessero orde di cinquantenni che si fanno spiegare la vita dai diciottenni invece di spiegargliela. O che fingono interesse per i loro drammi mentre in realtà danno ascolto solo al proprio ego che scalpita per fare a gara a chi è più giovane tra loro e i loro figli.
D’altra parte questa è l’epoca in cui gente che dovrebbe aver superato da decenni la fase post adolescenziale si informa grazie ai “divulgatori”. Se fosse possibile, per quanto mi riguarda, vieterei per legge il termine "divulgatore" e mi batterei come un leone in ogni sede per sostituirlo con Bignamino.
Cosa fai nella vita? Il Bignamino.
"Bignamino sui social network" sarebbe, dal mio punto di vista, un sottopancia perfetto. Se non altro onesto. Non solo nei confronti delle centinaia di migliaia di professori e professionisti che di stipendio guadagnano tre schiaffi al mese, ma soprattutto per i Bignamini.
Credo infatti che questa palese ipocrisia - eleggere uno che ha appena terminato il liceo a guida intellettuale della nazione, peraltro a sua insaputa, cioè senza che quello si sia candidato nemmeno a rappresentante d’istituto - sia molto nociva soprattutto per l’eletto. Che vuoi o meno, passata la botta di adrenalina, potrebbe sentirsi prigioniero del ruolo che gli è stato attribuito, più che impadronirsene. Ad esempio Prati è costretto a spiegare di continuo, lui a loro, che non è Barbero: “non sono uno studioso, sono uno studente”. Ma essendo impossibile che a loro - gli adulti che lo intervistano - sia sfuggito questo particolare, a me sembra che dietro quell’apparente ascolto delle sue istanze da ragazzo ci sia la volontà molto cinica di non buttare via niente del maiale, di estrarre tutto il succo, di dar fuoco a tutta la paglia che c’è finché ce n’è. Perché anche se ammantata di intellettualismo, questo tipo di dinamica assomiglia terribilmente a quella dei primi talent show: quelli che ti facevano toccare il cielo con un dito e poi si rimangiavano il cielo e a te restava solo un dito dietro il quale nascondere la tua delusione.
Tanto poi, una volta infilato nel tritacarne, spremuto fino all’ultima goccia e bruciate tutte le tappe, potremo fare una bella apertura di giornale a tutta pagina nella quale farci raccontare dalla nostra vittima sacrificale “il lato oscuro del successo”. Esagero, certo, ma in risposta ad altre esagerazioni non meno velenose anche se meglio mascherate. Il fatto è che l’edoardopratismo degli adulti mi pare una condanna più che un incitamento. Prati, totalmente incolpevole rispetto a quello che dico, cita tra gli scrittori contemporanei di riferimento Chiara Valerio, ma anche Chiara Valerio, Chiara Valerio e Chiara Valerio, incidentalmente anche sua amica. Oltre a Paolo Nori e Chiara Valerio. Ha assistito al suo primo concerto solo di recente: finora ha visto suonare dal vivo solo Alfa, poi ospite del secondo episodio del suo podcast. Obiettivamente pochino, per poter stabilire cosa ti appassioni e cosa no. Obiettivamente pochino, anche se la tua più grande passione sono i classici. Perché classico è anche il liceo che hai frequentato e allora forse, come è giusto che sia alla tua età, Dante e Petrarca sono semplicemente gli unici autori che conosci, quelli che hai studiato a scuola, più che i tuoi preferiti. Va bene tutto, se ti va bene: TikTok, i follower, i termini arcaici, l’amore, la poesia, il carattere istrionico, la televisione, le rubriche, i quotidiani, gli spettacoli teatrali, l’università se ti avanza un’ora per lo svago. Ma tu mi dai del lei e io ti do del tu perché fa bene a entrambi. Come diceva quello: “Dicono che c'è un tempo per seminare / E uno più lungo per aspettare / Io dico che c'era un tempo sognato / Che bisognava sognare”.