La parabola di Tony Effe
Il trapper romano è indagato dalla Procura di Tempio Pausania per rissa aggravata
Secondo quanto riportato ieri da Repubblica, Tony Effe, al secolo Nicolò Rapisarda, è indagato per rissa aggravata.
I fatti risalirebbero ad agosto 2023 e vedrebbero coinvolti anche un suo amico (un pugile milanese che tra l’altro lo avrebbe scortato al Festival di Sanremo) e un ultrà della Lazio. La lite era scoppiata all’esterno di The Sanctuary, una discoteca di Porto Cervo, in Sardegna, perché gli uomini della sicurezza avevano respinto all’ingresso Effe e compagni, non consentendogli di entrare.
Danni al locale e sei feriti. Ma nessuna denuncia.
A distanza di due anni, tuttavia, la Procura di Tempio Pausania è riuscita a risalire ai nominativi dei presenti tra i quali figura, appunto, Tony Effe. Secondo Repubblica, il cantante potrebbe dover rispondere anche di danneggiamento. E sarebbe stato raggiunto da un foglio di via obbligatorio da alcuni Comuni sardi fino a maggio 2027.
Il mio primo pensiero è andato al precettore di Tony Effe che forse dovrà dedicare la prossima lezione all’analisi del testo della notifica ricevuta da parte della Procura.
Lo scorso gennaio, in un’intervista rilasciata a 7, il settimanale del Corriere della Sera, il trapper aveva infatti raccontato: “Una volta a settimana faccio italiano. Analisi dei testi. Sento di voler imparare, voglio migliorarmi. Nell’ultima lezione abbiamo letto e analizzato una poesia di Umberto Saba dove lui, Saba, impersonifica la città con un ragazzaccio biondo. Un po’ quello che ho cercato di fare io con Roma in Damme ‘na mano, la canzone per Sanremo”.
Quel “faccio italiano” era probabilmente anch’esso perseguibile per legge e sicuramente aveva posto tutti nella condizione di pensare: non lo stai facendo bene.
Ma soprattutto, il tutto era apparso particolarmente furbo giacché l’allievo sembrava volersi più che altro accreditare presso il pubblico delle mamme, dopo aver già conquistato le loro figlie, in vista del suo esordio sul palco dell’Ariston.
Non mi sarei mai presa così gioco delle sue lezioni di italiano se non avessi creduto che la sua fosse solo una strategia di marketing, l’ennesimo Sanremo washing, un’altra maniera - anche se senz’altro più sofisticata della solita lagna su “quanto ho sofferto” - per ripulirsi l’immagine in vista di un massimo guadagno, più che in termini artistici in sponsorizzazioni.
Dopo la prima serata era infatti già chiaro che la canzone non ci fosse (Damme ‘na mano a dì: povero precettore, quanta fatica per insegnargli un po’ d’italiano e quello, al Festival della Canzone Italiana, parla solo il romanesco) mentre abbondavano collane e adv. Credo sia agli atti, in effetti, che l’unico motivo per il quale Tony Effe abbia minacciato di abbandonare anzitempo la competizione non sia stato “che brano orribile ho portato in gara” ma: “chi glielo dice ora a Tiffany che la collana da settanta mila euro non l’hanno vista quei dodici milioni di telespettatori?”.
Se l’italiano fosse stato davvero in cima alle sue priorità avrebbe invece pensato: “come glielo dico a Tiffany?”.
A proposito, per il momento tutto tace, il trapper non ha commentato l’indagine a suo carico. Il mio primo commento invece è stato: un altro che forse pensava di aver fatto la storia della Costa Smeralda, giacché gli arricchiti che arrivano in Sardegna di solito pensano che la Sardegna viva delle loro imprese tamarre (Aga Khan: perdonali).
Il mio secondo commento è stato: che impressione questo schema omertoso che si ripete sempre più spesso in base al quale i pestaggi non vengono denunciati.
Abbiamo i tribunali che traboccano di querele facili per qualsiasi parolina fuori posto mentre prendersi a pugni sembra essere diventato il modo più diplomatico, economico e impunito, per risolvere una contesa banale.
Infine non ho potuto non pensare a quale rischio abbia corso e a quale tranvata abbiamo schivato. Perché nel ruolo di anti-Fedez, Tony Effe era quasi diventato il nuovo eroe del web. Anche perché la sua relazione con Giulia De Lellis restituiva alle masse quel sogno mai sopito di “coppia reale”. Pure lui rapper, pure lei imprenditrice digitale. Ma senza una taglia sulla testa e con una reputazione intatta, per quanto - a voler essere generosi - molto più vaga.
Era, già così, tutto perfetto, poi i testi di alcune sue canzoni giudicati sessisti - in maniera sciocca e superficiale, perché le canzoni sono canzoni e non una fedina penale - lo hanno spinto ancora più in alto negli ascolti. Ad un certo punto, infatti, si erano montati la testa: De Lellis imperversava su ogni canale, Effe riceveva solidarietà, per il concerto di Capodanno saltato al Circo Massimo, anche dalle pietre. E, non so bene come, intorno alla loro consacrazione aleggiava un che di intellettuale - lui il nuovo Saba con alti valori familiari, lei “scrittrice” e riservata - in netta contrapposizione con gli idoli di ieri, interessati solo a fotografarsi e a fatturare.
Finché pure loro due, come gli altri due, non sono caduti dalle scale di Sanremo.
Che rimane un posto infido per chiunque pensi di potersene solo servire; per chiunque lo consideri un gioco già fatto; per chiunque lo consideri solo uno schermo un po’ più grande di quello dello smartphone.
Potrei definirla la maledizione dell’Ariston: non è tanto arrivarci, il traguardo al quale ambire. Quanto superare indenni, oltre alle cinque serate, i cinque mesi successivi.