Il cinema vietato ai minori
Agli under 14 è stata interdetta la visione di "Diva Futura", il film su Riccardo Schicchi. Così mi sono ricordata di quando andai a vedere "Irréversible"
Nelle ultime settimane ho letto diverse notizie che ruotano attorno ai cinema, nello specifico alla classificazione delle opere cinematografiche. Il cosiddetto “Piano Olivetti per la cultura”, lanciato dalla presidente del Consiglio e dal ministero della cultura, per la prima volta introduce la categoria di film vietati agli under 10; grazie a una battaglia condotta dall'Enpa anche la violenza sugli animali è stata inserita tra i criteri che determinano le fasce di divieto dei film (adesso, l’icona ‘violenza’, che indica la presenza di contenuti potenzialmente dannosi per i minori, “comprende esplicitamente anche maltrattamenti sugli animali e sull’ambiente”); la visione di “Diva Futura”, che racconta la storia dell’agenzia fondata da Riccardo Schicchi di cui hanno fatto parte Cicciolina, Moana Pozzi e Eva Henger, è stata vietata ai minori di 14 anni ma la decisione è stata duramente contestata dalla regista Giulia Steigerwalt.
Quest’ultima notizia è quella che mi aveva colpita di più, anche se il mio interesse se l’è mangiato nel frattempo il festival di Sanremo. L’8 febbraio su Repubblica si spiegava che i produttori avevano valutato la pellicola come non adatta ai minori di 10 anni ma la Commissione Classificazione ha dato un altro parere: vietata agli under 14. A lasciare perplessa la regista sono state queste motivazioni: “la pornografia viene rappresentata nel film come un modo semplice per ottenere successo e guadagnare soldi, omettendo qualsiasi accezione negativa, con il rischio di influenzare il pubblico minore di 14 anni, che è privo degli strumenti critici necessari per comprendere la complessità del fenomeno”.
Le motivazioni mi avevano personalmente convinta, precisamente nella parte finale (non immagino un undicenne provvisto di chissà quali strumenti critici). Ma nel pezzo la regista insisteva: “perché invece non prendere atto che la pornografia è il secondo mercato dell’intrattenimento? I dati ci dicono che i ragazzini hanno il primo contatto con la pornografia a 12 anni e che per il 90 per cento la pornografia è violenta. Invece il film parla di una persona, Schicchi, che combatteva questa associazione. […] Il film non s’interroga sul fatto se sia giusto o meno fare porno, dà invece un giudizio chiaro sul fatto che in questa industria spesso il consenso non venga considerato”. In conclusione, per Steigerwalt, la visione del film viene limitata solo perché il film parla di pornografia, erroneamente associata alla violenza, e non perché sia violento o trasmetta un messaggio violento.
Polemica a parte, che comunque potrebbe essere utile per aprire una discussione più ampia, oltre che per pubblicizzare il film (777: questa è una provocazione), non è stato presentato un ricorso formale perché “Diva Futura” è già nelle sale e quindi in qualche modo si è fuori tempo massimo.
Tutto questo mi ha però riportato alla mente quell’unica volta in cui mi sono trovata alle prese con un film vietato ai minori.
Intorno ai miei vent’anni andavo al cinema quasi tutti i pomeriggi, durante la settimana, colpa del fatto che per vent’anni avevo vissuto in un posto dove il cinema non c’era. Quasi sempre non sapevo che film stessi andando a vedere, sceglievo solamente la sala, a seconda della voglia che avevo di fare dei passi a piedi in centro o di farmi portare da un autobus più lontano possibile da casa. Quel giorno scelsi l’Arlecchino di via delle Lame a Bologna, uno dei più distanti, visto che vivevo in zona Savena.
Arrivata scopro che la mia scelta è praticamente obbligata (avevo già visto gli altri film in programmazione) e ricade quindi su “Irréversible”. Non so di cosa parli perché tra i rituali che accompagnavano questa mia passione cinematografica c’era l’andare a fari spenti: non volevo farmi consigliare da nessuno, leggere trame o recensioni, farmi un’idea a priori, ma arrivare lì e meravigliarmi di tutto.
Mi dirigo quindi al botteghino e chiedo un biglietto ma in maniera per me del tutto inedita la signora mi chiede un documento d’identità perché il film è vietato ai minori di 18 anni. Un bel guaio: io non ho con me i documenti perché fino a quel momento non mi è proprio mai capitato che potessero servirmi a qualcosa che non fosse prendere un aereo. Ma non mi sembra comunque chissà quale ostacolo: che sarà mai, devo solo vedere un film, saranno sicuramente sufficienti la mia buona fede e il buon senso della signora, per certificare che sono una maggiorenne fatta a finita.
Niente da fare: lei mi guarda e mi riguarda ma continua a pensare che io diciotto anni non li abbia ancora compiuti. Me lo rivela con un sorriso tenero ma sottovaluta che io sono in quella fase della vita in cui ambisci ancora a essere considerata più vecchia di quello che sei e il fatto che qualcuno ti voglia togliere tre anni d’età lo vivi come un’offesa inaudita.
Non solo, dentro di me penso anche allo sbattimento di essere arrivata fin lì per nulla e allo sbattimento che mi aspetta: dovrò tornare a casa, prendere i documenti e riattraversare di nuovo tutta la città. Perché a quel punto una cosa è certa: io questo film lo vedo anche a costo di dover fare avanti e indietro dieci volte (hai presente il gusto del proibito?). Lei mi dà della neonata e allora adesso le faccio vedere io, quanto posso essere infantile. Ma scherziamo, ma come si permette.
Torno in tempo per lo spettacolo successivo, tronfia anche se in debito d’ossigeno, e consegno la mia carta d’identità alla polizia dei cinema. La signora si scusa e mi dice qualcosa che farebbe felici le sue coetanee ma non me: "dimostra molti meno anni". Potrebbe essere finita lì ma al cospetto dell’omino dei biglietti si ripresenta lo stesso problema. Invece di staccare il mio tagliando: “chi l’ha fatta entrare?”. Ma allora è una congiura. Un accanimento. In un’epoca in cui io sono l’unica, tra i miei coinquilini, i miei colleghi e i miei conoscenti, ad avere un computer e una connessione a internet, mi si chiede, in pratica, un’autenticazione a due fattori e rischio per la seconda volta di non prendere posto in sala. In tutto questo ho scordato completamente che film stia per vedere, non sto più andando al cinema ma alla presa della Bastiglia. Tanto che quando finalmente riesco a sedermi e le luci si spengono mi sento più anziana di due secoli ma sono così confusa che mi penso Giovanna D’Arco.
Non so che il peggio deve ancora arrivare. Le scene iniziali sono riprese a mano libera, una mano ubriaca, e Monica Bellucci viene stuprata per dieci minuti che sembrano infiniti davanti a un’inquadratura fissa. Mi viene la nausea, poi da vomitare, sono stordita, chiudo gli occhi o distolgo lo sguardo dallo schermo ma non passa. Scoprirò molto dopo che non è solo la crudezza delle immagini e non è solo il movimento caotico della macchina da presa, è anche il sonoro, a farti sentire così, perché sono state utilizzate delle basse frequenze audio che il nostro orecchio non avverte ma che comunque vengono percepite a livello fisico.
Io ho sufficiente intelligenza emotiva per capire subito che lo scopo del regista è farti sentire come si sente la protagonista, farti immergere totalmente in quel sottopassaggio, capisco bene che come mi sento è esattamente come mi dovrei sentire, che l’esperimento di Gaspar Noé è riuscito; capisco quale sia il messaggio, direi positivo, contenuto nel racconto di quella violenza.
Ma non ho sufficienti strumenti intellettuali per non pensare a quei due tizi, là fuori, che non mi ritenevano abbastanza adulta per assistere a queste scene; non sono ancora così intelligente da non vergognarmi all’idea di uscire con la coda tra le gambe, di dimostrarmi non all’altezza dell’età che è scritta sui miei documenti; non ho sufficiente maturità per ammettere, di fronte a quei due, di aver scelto questo film a casaccio, senza avere la minima idea di cosa parlasse; sufficiente struttura per capire che “darla vinta a loro” significherebbe averla vinta sul mio mal di mare.
E quindi, mentre qualcuno lascia la sala, e io vorrei tanto seguirlo, rimango lì in pena, aspettando solo che passi il malessere e scorrano i titoli di coda. Mentre continuo a pensare: avevano ragione loro, che nemmeno mi conoscevano; non ero pronta, avrei dovuto fidarmi. Oggi però mi pare che il punto sia: fidarsi di chi? Se nei confronti dei ragazzini si hanno pretese di saggezza che non sono soddisfatte nemmeno dagli adulti?
Tu mi dai del lei, io ti do del tu
Domenica scorsa, nella sua Amaca, Michele Serra ha messo insieme Fabrizio Corona (che alla presentazione del suo ultimo libro ha detto: "Qualsiasi cosa faccio diventa virale su TikTok. Siamo a 320 mila iscritti, il mio obiettivo è arrivare a un milione. Può essere antesignano di un partito politico che, come hanno fatto i 5 Stelle, vinca le elezioni”) e…