Purtroppo, come avevo ampiamente previsto un anno fa sul Domani, il grande successo di Mare Fuori è stato anche la sua condanna. La quinta stagione, disponibile da mercoledì su RaiPlay, è un prodotto esclusivamente commerciale che tradisce del tutto il proposito originario.
In origine è stato coraggioso raccontare un carcere minorile senza mostri e senza eroi. Sapendo bene di cosa si tratti, nella realtà: di un filo sottile appeso nel vuoto che non è facile percorrere ma che bisogna percorrere, un piede dietro l’altro, senza perdere l’equilibrio nemmeno quando tira vento.
C’era questo modo lento e delicato di entrare dentro le storie dei giovani protagonisti, che all’inizio, per i telespettatori, erano solo dei delinquenti. Era un modo giusto, perché permetteva al pubblico di confrontarsi con il proprio pregiudizio, con il giudizio che noi tutti nutriamo nei confronti dei detenuti di ogni età, molto prima di sapere chi siano queste persone.
In origine la funzione narrativa del personale carcerario e delle guardie era centrale perché è così che funziona: il ruolo delle strutture detentive, a maggior ragione quelle dedicate ai minorenni, è rieducativo. Ognuno ha una pena da espiare che nessun altro può espiare al suo posto - quel filo sottile - ma qualcuno, a distanza, ti segue e t’insegna a non cadere di nuovo di sotto.
In carcere, a tredici anni, non si entra se hai rubato delle caramelle o se hai detto una parolaccia. E questa cosa, che è molto dolorosa, le prime tre stagioni l’hanno raccontata senza sconti. Il carcere, anche il carcere più moderno, è un luogo di sospensione ma non di tregua. Il tempo e lo spazio hanno velocità e misure diverse rispetto ai tempi e agli spazi del mondo fuori. Tutto questo, che ci tirava dentro e ci interrogava come società, adesso non c’è più.
Con il cambio alla regia e l’ingresso di nuovi sceneggiatori, sulla spinta di un pubblico abituato a dividere il mondo in buoni e cattivi - ad innamorarsi dei cattivi e a credersi buono - Mare Fuori è diventato un parco giochi, una vacanza, un sogno.
I detenuti entrano ed escono come e quando vogliono dall’istituto: recitano molti più copioni, vivono molte più vite, ma i loro personaggi non crescono.
Gli unici ragazzi che in questa stagione presentano profili psicologici problematici sono strafatti di droga, che viene scambiata con estrema facilità dentro le mura. Il disagio mentale, insomma, è solo un sottoprodotto, una conseguenza, una tossicodipendenza, ma non ci sono più i matti veri, in Mare Fuori. Li chiamo appositamente matti, per provocare una reazione, visto che finché non li chiami matti a tutti sta bene far finta che il massimo dello squilibrio psichico al quale un essere umano possa essere sottoposto sia dato dal non avere successo sui social network.
Pino, detto proprio ‘o pazzo, e Viola, un personaggio abusante e caratterizzato da una forte componente di crudeltà, forse sono stati considerati troppo complessi per un’epoca di autodiagnosi alle quali si giunge tramite un box domande di una qualsiasi influencer con una laurea in Psicologia.
A proposito. In questa stagione gli educatori trascorrono la maggior parte del tempo a farsi i cazzi loro, a risolvere i cazzi loro, ad aiutare i figli loro, invece dei figli di nessuno. E poi stringono rapporti paritari con i ragazzi dei quali dovrebbero prendersi cura, rapporti d’amicizia o addirittura intimi. D’altronde tutti amano qualcuno, là dentro. Tanto che immagino non sia assurdo ritenere che la massima ambizione per i telespettatori più giovani sia finire, prima o poi, a scontare una pena dentro il carcere di Nisida. Le loro mamme approverebbero senz’altro visto che su Instagram si divertono a fare il verso all’espediente narrativo delle “x ore prima dell’arresto di Y”. Come se quelle ore, che separano un ragazzino dal finire dietro le sbarre, potessero essere concepite come uno scherzo, come se in quelle ore non fossimo chiamati noi, collettivamente, in causa per non essere riusciti a evitare tutto l’evitabile.
Infine, di sbagliato, c’è la parodia di Gomorra: quello che dovrebbe essere uno dei più potenti clan di Napoli in mano a due ragazzine, una delle quali, Rosa Ricci, gestisce affari, piazze e sgherri, dal carcere minorile. Mentre Lino, un agente della polizia penitenziaria, sposta delle anfetamine da una cella a un’altra: per incastrare uno sbarbato che considera un rivale in amore e salvarne altri due, che in cambio gli fanno lievitare uno stipendio da fame (che mestizia affrontare il tema delle condizioni di lavoro delle guardie carcerarie solo per giustificare un atto così profondamente immorale).
L’unico vero errore della prima stagione, invece, era stato far morire Ciro Ricci: non per il personaggio in sé - il figlio di un camorrista con un destino, tragicamente segnato, da camorrista - ma perché non si erano accorti che Giacomo Giorgio era davvero bravo. Talmente bravo che gli autori avevano dovuto richiamarlo subito dopo, per la seconda stagione, facendogli recitare ancora la parte, pure “da morto”. Talmente bravo che nel frattempo la sua carriera è esplosa come quella di nessun altro, tra gli attori dell’esordio. Tuttavia, pure lui, adesso, ha preso le distanze da questa nuova serie, che non è più Mare Fuori:
“Il mestiere dell’attore consiste nell’interpretare delle scene che gli sceneggiatori scrivono, non nell’inventarle. Siamo pagati per questo. Spesso, come per questa stagione di Mare Fuori, un attore può non essere d’accordo con la scrittura perché il percorso del personaggio è sbagliato e perché la scena è scritta male. Questo è quello che penso delle scene di questa stagione, ma ciò non significa che il mio lavoro diventi un’altra cosa. In qualsiasi caso la professionalità vuole che un attore cerchi di interpretare al meglio delle parole e delle situazioni che gli vengono consegnate. E io così ho fatto, quest’anno e gli anni precedenti”.
L’unico elemento di valore della quinta stagione è - rimane - la colonna sonora di Stefano Lentini, che è uno dei compositori più talentosi degli ultimi dieci anni. Non mi sembra una buona notizia per altri, oltre che per lui, ma le scene più eloquenti sono quelle in cui nessuno parla e la musica di Lentini suona.
A parte questo, tutto il resto è andato sprecato.
Anche se alla mezzanotte del 12 marzo, nel momento in cui i primi sei episodi sono arrivati sulla piattaforma del servizio pubblico, RaiPlay è crollata (c’è stato un black out di quaranta minuti causato da un traffico troppo elevato) Mare Fuori 5 rimane un fallimento. Ampiamente annunciato.