Le elezioni in Germania
Il cuore dell'Europa è in fibrillazione. E anche io non mi sento molto bene
Di sicuro c’è una componente molto emotiva, attivata da una certa memoria storica, alla base delle preoccupazioni mie e di molti altri riguardo quelli che potrebbero essere gli esiti delle elezioni anticipate che si terranno in Germania domenica prossima. Dico una componente irrazionale perché tutto sommato so poco, a parte che Alternative für Deutschland, il partito d’ispirazione neonazista guidato da Alice Weidel, ha raggiunto il 20% nei sondaggi. So poco, a parte che i sondaggi sono sondaggi e non voti nelle urne - ma questo d’altronde vale anche per i centristi, i verdi e i progressisti.
So poco anche se so che a fine gennaio in Germania si è rotto il cosiddetto “cordone sanitario”, per la prima volta dal dopoguerra, visto che la CDU di Merz, candidato cancelliere conservatore e liberista, ha votato assieme ad Afd una mozione che chiedeva un inasprimento sulle politiche migratorie. Questo significa che il principale partito tedesco (quello che fu della Merkel) potrebbe essere disponibile, dopo le elezioni, ad accogliere i voti dei deputati di una destra così estrema. E vuol dire che questa destra è riuscita a imporre a questa campagna elettorale la propria agenda politica in chiave anti-migranti. So infine che il tentativo di Merz di inseguire su questo campo gli avversari non ha portato a risultati soddisfacenti visto che, nelle rilevazioni della vigilia, i cristiano-democratici non si sono spostati di una virgola (un grande classico: rincorrere la destra è un harakiri, gli elettori preferiscono sempre l’originale).
So poco del reale umore della maggioranza dei tedeschi ma ieri ho letto, su Repubblica, un reportage di Tonia Mastrobuoni sui “villaggi neonazi in cui la nostalgia del Reich è uno stile di vita”. Si tratta di insediamenti di famiglie che si rifanno all’ideologia volkisch (contraddistinta da un codice etnico razzista con una base ideologica nazionalista): “un fenomeno inquietante che sta crescendo a macchia di leopardo e lontano dall’attenzione pubblica”.
Queste comunità rurali, secondo quanto raccontato, si ingrandiscono in tutta la Germania anche perché quella che viene definita “la loro strategia di reclutamento” appare agli osservatori molto efficace: “Attenzione”, avvisa uno degli intervistati da Mastrobuoni, “non sono rozzi. Anzi si considerano un’élite: suonano tutti almeno uno strumento musicale, sono i primi della classe, studiano all’università per essere i migliori. E pensano non in termini di mesi o anni ma di generazioni”. O ancora, spiegano altre due fonti: “Non sono aggressivi. Quando arrivano nei villaggi cercano subito di rendersi utili. Sono quelli che ti vengono a riparare il fienile, che arruolano i loro educatissimi bambini per mettere a posto dopo le feste di paese, che si offrono di restaurare gli edifici abbandonati per restituirli alla comunità […] E’ molto difficile combatterli se tanta gente nei villaggi ci dice ‘ma sono così gentili e disponibili’”.
Questa descrizione non mi convince del tutto (diciamo che non amo guardare agli elettori di destra con gli occhi dell’esploratore coloniale o di Elliott di fronte a E.T. che cerca di chiamare casa, come fossero esemplari esotici o degli alieni e non persone che vivono nel nostro stesso mondo, figlie del nostro stesso secolo) devo però dire che il racconto mi ha abbastanza stupita. Perché demolisce quello che è stato un punto fermo nella mia formazione, fa crollare un mio argine mentale, una mia zona di conforto: “i tedeschi hanno fatto i conti con il loro passato nazista” (il cui sottotesto è sempre stato: mica come gli italiani). Sicuramente li hanno fatti ma è sempre più evidente che non ci siano conti, nella storia dei diritti, chiusi per sempre. A questo aggiungo che obiettivamente la congiuntura attuale - quel punto in cui politica, economica, società si incastrano perfettamente, a livello locale e globale - è particolarmente evocativa. Si combatte una guerra in Europa, dopo un secolo; le istanze nazionaliste sono, ovunque, più forti che mai; la Germania, la nostra locomotiva, attraversa una profonda crisi industriale. Non so se sia il preludio di una tempesta perfetta ma il cuore del Vecchio Continente è di sicuro in fibrillazione.
E anche io non mi sento molto bene.