Ius sanguinis
Le nuove regole, molto restrittive, per ottenere la cittadinanza italiana. Intervista a "Il Genealogista", Paolo Campagna
Il governo Meloni ha approvato, nei giorni scorsi, un “pacchetto cittadinanza” che restringe di molto le possibilità di diventare italiani. Ufficialmente il provvedimento mira a contrastare la “commercializzazione dei passaporti italiani” ma finisce con l’essere discriminatorio su base economica e rischia di non risolvere per nulla il problema.
Ne ho parlato con Paolo Campagna, un ingegnere informatico che da una decina d’anni lavora anche come genealogista, si occupa cioè di ricostruire alberi genealogici. In genere i suoi clienti sono persone che per pura curiosità tentano di risalire alle proprie radici familiari ma negli ultimi anni sono aumentate sensibilmente le richieste da parte di persone che avevano bisogno del suo aiuto per ottenere la cittadinanza italiana.
In Italia, infatti, la cittadinanza è trasmessa secondo il principio dello ius sanguinis, per discendenza o filiazione. Questo significa che i discendenti di emigrati che vogliano ottenere la cittadinanza italiana devono dimostrare - sostanzialmente attraverso degli atti di nascita - di averne diritto. Dimostrare cioè che il proprio trisavolo (si fa per dire) è nato a Roma (si fa per dire) in tale giorno e a tale ora.
Questo, almeno, fino allo scorso 28 marzo. Perché sabato scorso il Consiglio dei Ministri ha apportato una stretta significativa. In base al decreto-legge appena entrato in vigore infatti: "solo chi ha almeno un genitore o un nonno nato in Italia sarà cittadino dalla nascita”.
Come ha funzionato fino a oggi?
Finora in Italia si poteva richiedere la cittadinanza se si era discendenti di cittadini italiani, intesi come persone che abbiano vissuto nel nostro paese almeno un giorno dopo il 17 marzo 1861, data della proclamazione del Regno d’Italia. Quindi, a titolo di esempio: un ragazzo argentino che avesse un legame anagrafico con una persona, magari nata sul finire del 1700, che il 18 marzo del 1861 viveva in Italia, aveva la possibilità di ottenere la cittadinanza.
Come funziona oggi?
Dal 28 marzo soltanto chi è figlio o nipote di un italiano può diventare italiano. Gli altri non ne hanno più diritto. Diciamo che lo ius sanguinis si è molto ristretto, a massimo due generazioni.
Secondo il ministro degli Esteri Antonio Tajani questo provvedimento serve a evitare “abusi o fenomeni di commercializzazione dei passaporti italiani”
Nella mia esperienza ho conosciuto sicuramente tante persone, specialmente del Sud America, che non metteranno mai piede in Italia, persone che hanno avviato le pratiche per l’ottenimento del passaporto italiano solo per potersi trasferire in un paese occidentale, come Spagna, Francia o Stati Uniti. Il passaporto italiano infatti è molto forte: al terzo posto nel mondo secondo l’Henley Passport Index. Ma ho anche esperienza di cittadini con passaporti altrettanto forti, americani ad esempio, per i quali la cittadinanza italiana è comunque molto appetibile, e per questo ne hanno fatto richiesta, perché la sanità italiana è pubblica. Quindi alcuni richiedono la doppia cittadinanza qualora un giorno dovessero avere bisogno di ricorrere a cure gratuite.
Quindi il discorso di Tajani è condivisibile
E’ vero che l’Italia, negli anni, ha concesso la cittadinanza anche a persone che non avevano, e non avranno, nessun rapporto reale con il nostro paese, nessuna intenzione reale di “essere italiane”. Ma la questione non può essere risolta nel modo in cui ha indicato il Governo Meloni. Intendo dire che anche chi ha un padre o un nonno italiano potrebbe voler ottenere la cittadinanza solo per i propri scopi, solo per trasferirsi agevolmente a New York o non dover pagare delle cure se si ammalasse. Questa faccenda non si risolve escludendo i discendenti di terza o quarta generazione, né chiedendo di esercitare “almeno una volta ogni venticinque anni un diritto o dovere civico”. Il punto è che una volta che la cittadinanza italiana viene concessa, poi non si verifica, nel corso del tempo, che le persone che l’hanno ottenuta ne abbiano davvero necessità, che diano un proprio contributo concreto alla crescita dell’Italia. Andare a votare una volta ogni venticinque anni o rinnovare la carta d’identità non mi sembrano indicativi di niente.
Secondo la Farnesina, i procedimenti giudiziari attualmente pendenti per l’accertamento della cittadinanza sono oltre 60.000. I Paesi maggiormente coinvolti sono Argentina e Brasile: solo nell’ultimo anno, tra il 2023 e il 2024, le richieste dall’Argentina sono passate da 20.000 a 30.000 dal Brasile siamo passati da 14.000 a 20.000
Negli anni queste richieste sono effettivamente aumentate a dismisura, anche quella che è la mia piccola esperienza personale conferma questa tendenza. Ma bisogna considerare che in contemporanea le condizioni socio-economiche dei paesi di provenienza sono diventate disastrose. Ho avuto clienti brasiliani e argentini che guadagnano 50 euro al mese, che comprensibilmente cercano un modo per emanciparsi dalla loro condizione di miseria.
A queste persone, già dal 1 gennaio, lo Stato italiano chiede 300 euro, solo per poter avanzare la richiesta di un documento, per la precisione un estratto di nascita. Se il documento risulta disponibile, te ne chiedono altri 600 per poterlo ottenere. Sono cifre importanti. Quindi alla fine chi ha i soldi può richiedere la cittadinanza, i poveretti non possono. Mentre prima era gratuito per chiunque. Senza contare che le cose si complicano se la cittadinanza viene trasmessa da una donna.
Inizialmente solo gli uomini potevano trasmettere la cittadinanza italiana, le donne no. Questa discriminazione è stata superata grazie a una sentenza della Corte Costituzionale che ha stabilito che potessero richiedere il riconoscimento iure sanguinis anche i discendenti di madre italiana, purché nati dopo il 1° gennaio 1948, data dell’entrata in vigore della Costituzione. Più di recente ancora, la Cassazione ha riconosciuto il diritto alla cittadinanza anche ai discendenti per via materna nati prima del 1948. Ma questi ultimi possono richiedere il riconoscimento solo in via giudiziale
E’ così. Per via materna non si può attivare il normale procedimento amministrativo ma occorre affrontare un processo in tribunale, occorre pertanto ingaggiare un avvocato, far fronte a ulteriori spese. Fino a ieri gli Uffici di stato civile dei Comuni potevano chiedere un contributo per i diritti di segreteria, i diritti di ricerca, le spese vive, adesso devi pagare solo perché leggano una tua mail. Alla quale, peraltro, di solito rispondono dopo tre mesi e venti telefonate, perché magari gli impiegati sono al massimo due e se uno casualmente è in malattia tutto si ferma.
In sostanza: oltre al fatto che il costo dei documenti necessari risulta proibitivo per alcuni, la qualità del servizio è come minimo scadente
La burocrazia italiana è davvero una delle peggiori del mondo, non è solo un modo di dire. E’ chiaro che si sia pensato di far pagare profumatamente questi documenti per limitare il numero di richieste. Però cercare di limitarle su base finanziaria penalizza solo chi non può permetterselo, non chi vuole abusare del passaporto italiano. Inoltre questi 900 euro complessivi spesso si possono pagare solo attraverso la piattaforma PagoPa. E io sfido un brasiliano a pagare attraverso PagoPa, è ovvio che dovrà rivolgersi a un intermediario. O ancora: gli uffici comunali spediscono i documenti solo in Italia, perciò poi dovrai trovare tu un modo per entrarne effettivamente in possesso, se ad esempio vivi in Argentina.
Altri aspetti critici di questo decreto-legge?
Ho una cliente, che vive negli Stati Uniti, che da un giorno all’altro si è svegliata e ha scoperto che tutto il tempo e tutti i soldi che ha investito per ottenere i documenti sono andati in fumo. Perché la legge vale dall’oggi al domani, in un ambito in cui - chi è al Governo lo sa bene - i tempi sono molto lunghi, si parla quasi sempre di anni: prima devi fare delle ricerche nel tuo stesso Stato, cercare gli atti di nascita di tuo padre e di tuo nonno, poi magari scopri che tuo bisnonno era italiano e allora inizi le ricerche in Italia, se non hai dei riferimenti precisi spesso regione per regione, e poi comune per comune. Quindi una persona con tutte le carte in regola fino a ieri, che abbia già chiesto al Consolato un appuntamento, non può più ottenere la cittadinanza se la sua parentela con un italiano è di terzo, quarto o quinto grado. Non ne ha più diritto perché la legge non prevede nemmeno un breve periodo di adeguamento. Ma gli appuntamenti vengono fissati anche a distanza di quattro anni dalla richiesta, le tempistiche sono queste. Ora invece anche gli appuntamenti già in programma sono congelati e a rischio: il Consolato ha avvisato via mail che devono essere riprogrammati, in attesa che il Governo fornisca maggiori istruzioni.
Ci sono infatti sessanta giorni di tempo entro i quali il decreto potrebbe ancora subire delle modifiche, prima della conversione in legge.